I super ricchi del pianeta oggi non sono più solo “semplici” privati che hanno accumulato grandi capitali con l’obiettivo di accrescere il loro business e la loro attività. Dispongono di imperi economici transnazionali che gli permettono di esercitare un’influenza sempre più determinante sulle sorti dell’umanità, tentando di indirizzarne il futuro e imponendo precise ideologie.

Basti pensare a figure come Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, o ai multimiliardari della Silicon Valley che sono riusciti ad imporre il culto della tecnoscienza, il connubio tra scienza e tecnica. La ricchezza smisurata dei “paperoni” internazionali può soggiogare il potere degli Stati, accerchiandone progressivamente la sovranità. Motivo per cui gli oligarchi globali possono permettersi di sognare un futuro non così improbabile nel quale nessuna autorità di tipo politico, e ancora meno di tipo religioso-spirituale, possa frenare in alcun modo la loro volontà di potenza e di dominio. Una inclinazione allo strapotere che alcuni di essi hanno già messo in campo in vari investimenti spesso sbrigativamente bollati come “eccentrici”.

Ciò che accomuna molti degli oligarchi in questione è la condivisione di un’ideologia controversa e raramente portata all’attenzione delle masse, che tuttavia già ora – nell’inconsapevolezza dei più – si sta affacciando prepotentemente nelle nostre vite. Si tratta del cosiddetto transumanesimo: un movimento culturale che si propone di modificare l’essere umano per migliorarlo, potenziandone le facoltà fisiche e cognitive e ritardandone l’invecchiamento fino a scoprire l’“elisir di lunga vita”. Per perseguire i suoi scopi, questo movimento si serve della tecnoscienza che ne costituisce il pilastro ideologico, nella convinzione che essa sia in grado non solo di spiegare la totalità del reale esaurendone il significato, ma anche di dominarla. La realtà, infatti, viene limitata alla pura dimensione materiale: non a caso le radici del transumano vanno ricercate proprio in una visione materialista e meccanicista del mondo e della vita che ha perso ogni rapporto con la categoria del sacro, arrivando a negarla e a denigrarla.

Se molto è stato detto dai suoi fautori circa le “strabilianti” prospettive che questo approccio alla vita comporterebbe per la specie umana, si è posto poco l’accento, invece, sui rischi che esso comporta. A partire da quello di un annientamento della natura umana stessa, in vista di un suo superamento e dalla perdita totale della sua “libertà”: infatti, riducendo la vita umana ad un mero aggregato biologico meccanico e programmabile in tutti i suoi aspetti, non resta più alcuno spazio per il libero arbitrio.

Meccanicismo e materialismo: l’uomo come oggetto della tecnica

Il transumanesimo si ispira ad una visione del mondo che interpreta la realtà naturale e l’essere umano stesso come una macchina, riducendo l’uomo ad un mero oggetto: in quanto tale, l’obiettivo primario è quello di “aggiornarlo” costantemente – esattamente come accade con i software – secondo una concezione evolutiva potenzialmente illimitata che sconfina in quella che gli antichi greci chiamavano “hybris”: la tracotanza che porta l’essere umano a sfidare i “limiti” che definiscono la sua natura per giungere ad una sorta di “superuomo” che pretende di ergersi a creatore di se stesso. Le radici di questa visione della vita e del mondo vanno ricercate nel meccanicismo: una concezione filosofica che si è affermata soprattutto nel Seicento secondo cui tutti i fenomeni fisici sono spiegabili meccanicamente in termini di causa ed effetto, poiché la natura non sarebbe altro che un sistema di materia in movimento che può essere interpretato e dominato attraverso poche leggi fondamentali formulate matematicamente. Secondo questa visione – spesso espressa metaforicamente attraverso l’immagine dell’universo come grande orologio – nella natura non è insito alcun fine, non vi è alcuno scopo da perseguire, ma solo meri fenomeni meccanici. Per questa ragione, meccanicismo è anche sinonimo di determinismo: non vi è spazio, infatti, in questa dottrina per il libero arbitrio, poiché tutto è determinato e inserito in una rigida catena causale.
René Descartes – uno dei più importanti e noti filosofi moderni – ha esteso questa concezione meccanica anche all’uomo e agli animali: per Descartes, il corpo stesso dell’uomo è una macchina e mere macchine sono gli animali, sprovvisti di anima. Questa dottrina avrebbe successivamente spianato la strada a posizioni di tipo materialistico: se la filosofia di Descartes era ancora basata sul cosiddetto dualismo metafisico per cui esistono due sostanze create, quella spirituale (res cogitans) e quella materiale (res extensa), i materialisti illuministi come La Mettrie, sopprimeranno del tutto la prima. Non a caso La Mettrie scriverà un’opera emblematica dal titolo altamente significativo “L’uomo macchina”.
Privando l’essere umano della res cogitans e considerandolo solo come aggregato materiale determinato meccanicamente, lo si riduce ad automa programmabile e plasmabile: solo la sostanza spirituale immateriale, infatti, si sottrae al determinismo, in quanto non quantificabile né calcolabile e, dunque, irriducibile alle leggi meccaniche.
Di conseguenza, l’essere umano è diventato non solo un semplice oggetto, ma il principale oggetto della tecnica: se quest’ultima nel suo significato moderno designa un sapere in grado di dominare la natura per piegarla ai propri scopi, questa volontà di dominio si estende automaticamente anche all’uomo: l’homo faber, infatti,rivolge direttamente verso se stesso la sua arte, ossia le sue capacità tecniche, nel tentativo ultimo non tanto di trasformare la specie in base a un proprio progetto, ma direttamente di liberarsi dalla costrizione che la stessa specie rappresenta. Da qui il tentativo di modificare l’uomo attraverso le biotecnologie e le neuroscienze, emendando la costituzione umana. Gli ambiti su cui si è deciso di intervenire riguardano nello specifico la manipolazione della genetica umana, il controllo del comportamento, il prolungamento della vita e l’ibridazione uomo-macchina. Insieme essi costituiscono l’oggetto recondito del desiderio dei superricchi che vorrebbero indirizzare i destini del mondo.

Gli ultramiliardari e il sogno dell’“immortalità”

Il meccanicismo materialista ha condizionato tutta la cultura moderna e – seppure in modo spesso inconsapevole – è stata recepita interamente dagli esponenti della plutocrazia del denaro: quest’ultima, del resto, ne incarna proprio la conseguenza più immediata e manifesta, in quanto il potere smisurato dei capitali non si sarebbe mai potuto affermare senza quella concezione che ha privato la realtà della sua dimensione trascendente.
Così i principali fautori della modifica della natura umana sono gli esponenti di spicco dell’oligarchia finanziaria mondiale, nonché alcuni tra gli uomini più ricchi al mondo. Tra questi, molti hanno investito in progetti che mirano a ritardare l’invecchiamento alla ricerca dell’eterna giovinezza: ad esempio, Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon, ha investito tre miliardi in Altos Labs, una neonata startup che attraverso tecniche di “rigenerazione cellulare” si prefigge di ritardare l’invecchiamento umano. Il progetto nasce da un incontro scientifico tenuto nel 2020 dall’imprenditore e fisico russo-israeliano Yuri Milner, avente ad oggetto l’impiego delle biotecnologie per prolungare la vita e la giovinezza. Il progetto coinvolge a vario titolo scienziati di fama mondiale e Premi Nobel e già nel 2021 aveva raccolto investimenti per 270 milioni di dollari. Similmente, Sergey Brin e Larry Page, fondatori di Google, hanno investito 1,5 miliardi di dollari nell’azienda biotecnologica Calico Labs che lavora per provare a invertire il processo di invecchiamento.
Altri miliardari come Peter Thiel, fondatore di PayPal e Brian Armstrong, amministratore delegato della piattaforma di criptovalute Coinbase, stanno lavorando su progetti simili, al fine di “curare l’invecchiamento” creando nuove terapie: il primo attraverso la sua non profit Breakout Labs, il secondo investendo in un progetto chiamato “New Limit” che studia la “riprogrammazione epigenetica”.
Sebbene il mito dell’immortalità costituisca da sempre uno dei sogni più ambiziosi dell’umanità – basti pensare alla pietra filosofale degli alchimisti – oggi, da un lato, la secolarizzazione ha esponenzialmente acuito questo desiderio, in quanto la dimensione terrena e materiale è l’unica che l’homo oeconomicus contemporaneo riconosce, dall’altro, la tecnoscienza si è posta come garanzia della sua effettiva possibilità di raggiungimento. Tuttavia, la rimozione della morte equivale al tempo stesso alla rimozione della vita, poiché vita e morte sono i due dati complementari della natura umana. Citando il filosofo Hans Jonas – discepolo di Martin Heidegger – “Il dover morire è connesso con il nascere: la mortalità è soltanto l’altra faccia della fonte perenne della “natalità” (per usare un’espressione di Hannah Arendt). Se eliminiamo la morte, dobbiamo eliminare anche la procreazione, perché quest’ultima è la risposta della vita alla morte”.

Elon Musk e la sua Neuralink

Se da un lato, molti magnati internazionali ambiscono all’elisir di lunga vita, dall’altro non manca chi – come Elon Musk – sogna l’ibridazione dell’uomo con le macchine. Il CEO di Tesla e Space X, infatti, nel 2016 ha fondato la startup Neuralink con l’intento di creare un’interfaccia tra l’uomo e l’IA, tramite un impianto cerebrale che prevede l’inserimento di un chip nel cervello umano.  In un’intervista rilasciata al commentatore Joe Rogan già nel 2020, Musk aveva dichiarato che per eseguire l’impianto “si effettua un foro nel cranio che lascia solo una piccola cicatrice e si inserisce il dispositivo. Questa tecnologia consentirebbe la simbiosi tra uomo e IA”. Ha aggiunto inoltre che “non abbiamo ancora iniziato ad effettuare test sugli umani, ma non credo che aspetteremo molto. Potremmo essere in grado di impiantare un collegamento neurale in una persona in meno di un anno”. Quel che appare più inquietante dell’esperimento di Musk è che un dispositivo di questo tipo nel cervello consentirebbe il totale controllo dei pensieri e del comportamento umano.
I risultati della sperimentazione sono stati presentati nel corso di un evento tenutosi a San Francisco nel 2020 dal magnate americano: l’oggetto della dimostrazione era una maialina, soprannominata Gertrude, a cui era stato impiantato il dispositivo neurale e che i presenti hanno potuto vedere muoversi in un recinto seguendo le sue connessioni cerebrali sullo schermo di un computer.
Secondo un servizio mandato in onda dal Tg1, l’animale “mangia senza avere fame, cammina senza saperlo ed è la dimostrazione che il prossimo ad essere comandato dall’esterno potrà essere l’uomo”. Nel medesimo servizio, il professore di scienze biologiche e neuroscienze nonché direttore del NeuroTechnologyCenter (NTC) presso la Columbia University, Rafael Yuste, mette in guardia dalle nuove possibilità tecnologiche a scopi commerciali poiché questi microchip, che potrebbero essere venduti anche come cuffie o caschi, potrebbero trasmettere nella mente immagini e sentimenti artificiali. Lo scienziato ha dichiarato che “c’è un progetto di Facebook in cui si vuole eliminare la scrittura in modo che basti solo pensare una parola perché appaia. Questo mi preoccupa molto perché quando si sta decifrando la parola si decifra il contenuto della mente”. Infine, la giornalista del servizio ha concluso asserendo che “i nostri pensieri, il libero arbitrio, la nostra identità potrebbero non essere più così scontati”.

L’“uomo nuovo” senz’anima

I temi del libero arbitrio e della dignità umana sono centrali nel dibattito sul transumanesimo che si propone di costruire “l’uomo nuovo” del mondo ipertecnologico e digitale. Un uomo programmabile e controllabile, la cui memoria si pretende di caricare su supporti digitali dopo la morte e il cui cervello può essere collegato ad un’estensione digitale per dare vita all’“uomo aumentato”, dotato di facoltà psichiche, cognitive e fisiche potenziate. Tuttavia, dietro questa presunzione di perfezionare l’umano si nascondono dei rischi che ne minano la “libertà” e la stessa essenza: secondo lo storico israeliano Yuval Noah Harari – esponente del World Economic Forum e fautore del transumanesimo – attraverso interfacce cervello-macchina come Neuralink è possibile “hackerare”, ossia violare, il cervello umano da parte dell’IA. La raccolta di enormi quantità di dati così ottenuta insieme ad algoritmi sempre più potenti saranno in grado di influenzare qualunque scelta umana. Sebbene Harari sia un convinto sostenitore del transumanesimo ha assunto una posizione ambigua che tende a mettere in guardia dalle sue conseguenze più estreme, nella convinzione che, in ogni caso, i benefici di una tale “evoluzione tecnologica” superino i rischi. Così ha dichiarato che “hackerare un essere umano significa conoscere quella persona meglio di quanto non si conosca se stessi. E ciò semplicemente per manipolarti sempre di più”. Ha inoltre aggiunto che “Netflix ci dice cosa guardare e Amazon cosa comprare. Alla fine entro 10 o 20 o 30 anni tali algoritmi potrebbero anche dirti cosa studiare al college e dove lavorare, chi sposare e persino per chi votare”. L’“uomo nuovo” forgiato dalla tecnoscienza, dunque, è privo di libero arbitrio in quanto tutta la cultura moderna ha soppresso l’anima. Ossia quella sostanza spirituale che sola è in grado di garantire la libertà e la dignità dell’uomo, in quanto non calcolabile né controllabile ed esentata, dunque, dalla sperimentazione scientifica. Il suo carattere qualitativo e trascendente esula dagli schemi meccanicisti su cui si basa la cultura moderna e non è sottoponibile al controllo e alla manipolazione tecnica, cardine del culto tecno-scientifico. Per questo essa è stata negata o ignorata dalle scienze moderne a cominciare dalla psicologia o almeno da una parte di essa. Max Meyer, psicologo sperimentale del Novecento, sottolineava che l’anima non può avere valore scientifico, in quanto non può essere osservata o misurata: “Non neghiamo l’anima, ma non le concediamo il nostro tempo. Ci basta e avanza studiare il corpo” affermava, aggiungendo anche che “Le società umane possono essere definite come qualcosa che scaturisce dalle leggi naturali, non da gruppi di anime, ma da gruppi di organismi”. Il rischio insito in queste posizioni è dimostrato dalle derive di un movimento come quello transumanista. Inoltre, il tema dell’anima è centrale nella cultura classica occidentale che – a partire da Aristotele – individua in essa l’essenza dell’uomo, ossia ciò per cui un essere è ciò che è. Annientare l’anima, dunque, significa annientare di fatto l’umano, prospettando scenari distopici. Onde evitare tale prospettiva è necessario rimettere al centro ciò che, per sua stessa natura, non è possibile dominare in quanto sfugge al controllo tecnico – la sostanza spirituale – ridimensionando al contempo ciò che ne costituisce l’antitesi, ossia l’immenso potere del denaro.

[Pubblicato su L’Indipendente.online – di Giorgia Audiello]

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