“La Russia oggi è la minaccia più diretta all’ordine mondiale, a causa della sua invasione dell’Ucraina”: così si è espressa la Presidente della Commissione europea Ursula von der Layen in occasione del ventottesimo vertice UE-Giappone a Tokyo lo scorso 12 maggio. Il conflitto tra Russia e Ucraina, infatti, sta mettendo in crisi l’ordine mondiale unipolare e sta accelerando, invece, la costruzione di una nuova architettura internazionale fondata sul cosiddetto multipolarismo: un modello geopolitico che si oppone all’unipolarismo e che prevede una molteplicità di centri decisionali indipendenti e sovrani su scala mondiale.

Il vero oggetto dell’attuale conflitto in corso nell’est Europa è, dunque, il futuro assetto globale del mondo attraverso cui promuovere una più equa distribuzione del potere a livello internazionale e agevolare il crollo del paradigma liberale come paradigma dominante. Ciò significa che l’egemonia unilaterale degli Stati Uniti e dei suoi alleati potrebbe essere notevolmente ridimensionata. Motivo per cui gli USA sono impegnati in prima linea a sostenere Kiev attraverso l’invio di armi, ma anche attraverso informazioni di intelligence e tecnologie satellitari che permettono all’esercito ucraino di individuare le coordinate dei bersagli da colpire. L’obiettivo di Washington, infatti, è quello di prolungare il conflitto quanto più possibile al fine di accerchiare e indebolire la Russia.

Dall’unipolarismo al multipolarismo

Con la caduta dell’Unione Sovietica venne meno la contrapposizione tra i due blocchi dominanti e delle relative ideologie – capitalismo e comunismo – con la conseguente affermazione del dominio esclusivo dell’“occidente” capitalista. In questo modo si affermò il dominio incontrastato di Washington come unica superpotenza mondiale e degli Stati satelliti suoi alleati. Il momento unipolare così definito è stato caratterizzato dall’egemonia del dollaro, dal paradigma liberista, dal dominio incontrastato della finanza sull’economia e sugli Stati e, soprattutto dalla globalizzazione. Dal punto di vista militare, invece, l’unipolarismo targato USA ha trovato il suo principale strumento nella NATO, alleanza militare attraverso cui la Casa Bianca ha aggredito innumerevoli Paesi in tutto il mondo adducendo il motivo della difesa dei diritti umani e dell’esportazione della democrazia. È importante sottolineare che la “missione” di esportare la democrazia non è mai stata raggiunta: al contrario, la situazione nei Paesi invasi è sempre peggiorata notevolmente e la riprova probabilmente più eclatante è quella dell’Afghanistan, da cui l’America nel 2021 ha effettuato una disastrosa ritirata.
A consolidare l’idea secondo cui l’America dovesse essere l’unica forza dominante nel mondo fu il movimento politico del “neoconservatorismo” a cui viene attribuita la teoria dell’esportazione della democrazia nel mondo anche attraverso interventi militari atti a rovesciare regimi considerati “dittatoriali”: il famoso documento pubblicato nel 2000 e intitolato “Rebuilding America’s defenses”, redatto dall’istituto di ricerca neoconservatore “Project for the New American Century” (PNACProgetto per il Nuovo Secolo Americano), non lascia adito a dubbi circa le reali intenzioni statunitensi di porsi come unica forza egemone nel nuovo secolo che stava per nascere: il cosiddetto “Nuovo Secolo Americano”. Nel rapporto si legge che “l’America dovrebbe cercare di preservare ed estendere la sua posizione di leadership globale mantenendo la superiorità delle forze armate USA”, in quanto l’ideologia “neocons” era assolutamente convinta che l’egemonia americana fosse un bene sia per l’America che per il resto del mondo. È chiaro che per preservare tale status, il primo obiettivo era indebolire altre superpotenze scomode al progetto del “Nuovo Secolo Americano”: da qui la continua espansione della NATO verso est con lo scopo di accerchiare e contenere la Russia. Circa le relazioni con Mosca e il possesso di armi nucleari, nel rapporto in questione veniva messo nero su bianco che “Ciò che dovrebbe guidare le dimensioni e le caratteristiche delle nostre forze nucleari non è la parità numerica con la Russia, ma il mantenimento della superiorità strategica americana”. Dopo l’elezione di George W. Bush nel 2000, molti membri del PNAC vennero nominati in posti chiave all’interno della nuova amministrazione, la quale non poté che applicare alla lettera i cardini della politica estera “neocons”. Tuttavia, all’interno di questo contesto, sono contemporaneamente emerse sullo scenario globale due potenze in grado di incrinare l’egemonia liberale americana, la Russia e la Cina, oltre alla coalizione tra le cinque principali economie emergenti, indicata con l’acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa): il coordinamento diplomatico tra questi Paesi mirava ad esprimere posizioni unitarie nei consessi multilaterali e ad intensificare le relazioni politiche e commerciali tra i Paesi aderenti. Col tempo però, la loro maggiore ambizione divenne quella di porsi come alternativa al gruppo del G7 Occidentale, con l’intento di modificare l’architettura del sistema finanziario internazionale, ridimensionando progressivamente l’egemonia del dollaro e, dunque, degli Stati Uniti d’America. Con questo scopo, durante il sesto summit dei BRICS tenutosi in Brasile, a Fortaleza, nel 2014 è stata istituita la Nuova Banca di Sviluppo con l’intento di porsi in concorrenza con le istituzioni di Bretton Woods (Banca Mondiale e FMI), dando così nuova linfa alle aspirazioni per un mondo multipolare.

Il ruolo strategico dell’Ucraina

La crisi ucraina sta involontariamente fornendo nuovi impulsi per la creazione di un assetto internazionale policentrico, poiché il ruolo geostrategico di questa nazione ha il potenziale per determinare nuovi equilibri internazionali: il controllo totale o parziale dell’Ucraina, infatti, permetterebbe a Mosca di recuperare il suo naturale status di potenza eurasiatica. Da qui la volontà di Washington di scongiurare ad ogni costo questa eventualità, attirando Kiev nella sfera di influenza euro-atlantica. Tutto ciò è stato spiegato perfettamente dal politologo statunitense ed ex consigliere per la sicurezza nazionale sotto Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski in quella che è considerata la pietra miliare della geostrategia atlantista contemporanea: “La grande scacchiera”. Qui Brzezinski scriveva: “L’Ucraina, un nuovo ed importante spazio sullo scacchiere eurasiatico, è un perno geopolitico, perché la sua esistenza stessa come paese indipendente aiuta a trasformare la Russia. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. […] Se Mosca riprende il controllo dell’Ucraina, coi suoi cinquantadue milioni di abitanti e le sue grandi risorse, nonché l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente ritrova il modo per diventare un potente Stato imperiale, esteso sull’Europa e sull’Asia”. Di conseguenza, la strategia USA è sempre stata quella di impedire che ciò accadesse per mantenere il primato economico e geopolitico mondiale. Da qui, il costante allargamento a est dell’Alleanza atlantica, nonostante dopo il dissolvimento dell’Urss fosse stato garantito verbalmente ai vertici politici russi che ciò non sarebbe avvenuto: una forma subdola di imperialismo, mascherata dietro la formula rassicurante del “mantenimento della pace e della stabilità in Europa”.
Per comprendere, invece, l’influenza determinante dell’Eurasia sugli assetti geopolitici globali occorre riferirsi alla teoria di uno dei padri fondatori della geopolitica moderna, il geografo inglese Sir Halford Mackinder (1861 -1947), il quale scrisse il famoso articolo “The Geographical Pivot of History”, a cui si ispirò lo stesso Brzezinski. In estrema sintesi, il perno geografico della storia – o “Heartland” – coincide con il continente eurasiatico, occupato in gran parte dalla Federazione Russa. Mackinder, dunque, spiega la centralità economica e geopolitica dell’Eurasia derivante dall’immensa ricchezza naturale e dalla sua posizione geografica: “Chi controlla l’Europa orientale controlla l’Heartland, chi controlla l’Heartland controlla l’Isola-Mondo e chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo. L’Heartland è la più grande fortezza naturale della Terra”.
Di conseguenza, considerato che l’obiettivo USA è il mantenimento dell’assetto unipolare, lo scontro tra Russia e NATO/USA in Ucraina era inevitabile e noto da tempo allo “stato profondo” di Washington. Tuttavia, proprio tale conflitto sta fornendo l’occasione per l’emergere di un nuovo polo commerciale asiatico e per un graduale processo di de-dollarizzazione dell’economia, poiché molti Paesi “emergenti” – tra cui i BRICS – paiono intenzionati a sottrarsi dall’orbita finanziaria americana, specie dopo che Washington ha congelato i beni finanziari di Mosca facendo perdere la fiducia nel dollaro come valuta di riserva internazionale.

Aumentano i Paesi che disobbediscono a Washington

Manifestanti bruciano bandiere di Usa e Israele in Pakistan. Nel Paese si sono diffuse ampie proteste antiamericane dopo la destituzione del presidente Imran Khan, che ha accusato gli Usa di aver fatto pressioni sui parlamentari per convincerli a votare contro il suo governo.

Il tentativo della Casa Bianca di isolare la Russia per mezzo delle sanzioni ed escludendola dai grandi summit politici internazionali non è andato a buon fine, in quanto molte nazioni del mondo non occidentale hanno dimostrato la loro indipendenza politica dalle direttive statunitensi: infatti, non solo molti Stati si sono astenuti dalla risoluzione di condanna votata all’ONU contro l’operazione militare speciale della Russia, ma hanno anche trasgredito l’“ordine” di Washington di applicare le sanzioni a Mosca. In questo senso, forse il caso più significativo è quello dell’India che, pur essendo “alleata” degli Stati Uniti, ha rinsaldato gli scambi commerciali col Cremlino, specie nel settore energetico. Allo stesso modo, i Paesi OPEC, i maggiori produttori di greggio, si sono rifiutati di aumentare la produzione di petrolio per sopperire all’uscita dal commercio delle quote russe, nonostante la sollecitazione di Washington in tal senso. Hanno al contrario fatto sapere che avrebbero rispettato gli accordi con Mosca siglati dal gruppo OPEC+.
Ma a confermare ulteriormente l’autonomia decisionale rispetto a Washington è stata l’iniziativa dell’Indonesia di invitare il Cremlino a partecipare al prossimo G20 che si terrà a novembre a Bali, nonostante la forte contrarietà della Casa Bianca. Biden aveva, infatti, espressamente richiesto di escludere Putin dal consesso, così come il portavoce del Pentagono John Kirby, che aveva esplicitamente dichiarato che “Putin deve pagare per le conseguenze di quello che ha fatto e sta facendo e non dovrebbe essere invitato al G20″. Di conseguenza, la decisione di Giacarta di includere comunque Mosca al consesso ha scatenato l’ira di Washington.
Inoltre, le sanzioni hanno avuto il paradossale effetto di incrementare l’uso delle valute locali – come yuan, rupie e rubli – a scapito del dollaro e di spostare l’asse economico-commerciale in Oriente, con lo scopo di aggirare le sanzioni stesse. Tutto ciò conferma l’emergere di un nuovo fronte di Paesi “non allineati” – il cui obiettivo è ridimensionare il ruolo degli Stati Uniti sullo scacchiere globale – che ha il suo perno nel triangolo Russia-Cina-India, ma che comprende anche importanti potenze regionali quali Brasile, Sud Africa e Pakistan.

La nuova “alleanza asiatica” e la de-dollarizzazione

Secondo il ministro degli Affari Esteri russo, Sergej Lavrov, è necessario sviluppare “un ordine mondiale multipolare assai più democratico di quello attuale” e, proprio con questo fine, in Asia si sta svolgendo una partita importante volta ad appianare le divergenze tra Paesi come India e Cina in funzione anti-Occidentale. Con questo intento, nei mesi scorsi è cresciuto l’attivismo di Pechino: il ministro degli esteri Wang Yi, infatti, ha incontrato lo scorso marzo i rappresentanti di diversi Paesi asiatici per evitare che fossero “attirati” nel campo americano e per costruire, dunque, una sorta di “alleanza asiatica” in grado di arginare la supremazia USA. Russia, Cina e India costituiscono il cuore di tale alleanza, tanto che a fine anno è previsto un summit tra i rispettivi presidenti per suggellare la nascita di un nuovo Club di Grandi, teso ad escludere l’Occidente, che ha già un acronimo: “RIC”, dalle iniziali dei Paesi fondatori.
Quest’ultimi, anche per fronteggiare la guerra economica innescata dalla crisi ucraina, stanno promuovendo la nascita di un nuovo polo commerciale orientale in rapida ascesa, dando anche il via ad un graduale processo di de-dollarizzazione. L’incremento dell’uso di valute locali – come yuan, rupie e rubli – a scapito del dollaro, specie nelle transazioni nel settore energetico, sta minando il biglietto verde come valuta di riferimento globale, in quanto gli scambi commerciali di idrocarburi e materie prime non avvengono più esclusivamente in dollari: stanno affiorando, infatti, nuovi meccanismi come quello rublo-rupia o il petroyuan saudita. Ma a dare un duro colpo alla centralità del dollaro è stato il meccanismo “gas-per-rubli”, ossia la richiesta del Cremlino ai Paesi occidentali di aprire un doppio conto presso la Gazprom Bank per la conversione automatica dei pagamenti del gas in rubli. Questa mossa permetterà un ulteriore apprezzamento del rublo e, contemporaneamente, un indebolimento del dollaro: tutto ciò sta favorendo la nascita di un nuovo sistema monetario/finanziario guidato dall’“alleanza” tra Unione Economica Eurasiatica (UEE) e Cina, a scapito dell’attuale ordine economico globale basato sulla divisa americana. Ad agevolare questo cambio di paradigma monetario sono state proprio le sanzioni europee e statunitensi verso il Cremlino: lo stesso vicedirettore generale del FMI, Gita Gopinath, ha avvertito, infatti, che tali sanzioni potrebbero minare il predominio globale del dollaro USA. Contemporaneamente il rublo continua ad apprezzarsi rispetto alla moneta americana, tanto che Bloomberg l’ha definita “la valuta più performante del mondo quest’anno”. Mentre secondo l’analista cinese di Global Times Gao Desheng – citato dalla Tass – “Il mondo sta rapidamente entrando nell’era post-dollaro”.
Si configura così uno scenario di cambiamenti epocali in cui appare concreto il rischio che si realizzi compiutamente quel “tramonto dell’Occidente” preconizzato nei secoli scorsi da filosofi e letterati: in tutti gli ambiti, infatti, da quello economico a quello culturale passando per quello demografico, il declino dei Paesi liberal-democratici pare inarrestabile. In particolare, i Paesi europei, se non sapranno accettare e ricavarsi un ruolo nel mutamento di assetti in corso, saranno destinati all’assoluta irrilevanza all’interno del nuovo scacchiere internazionale multipolare.

[Pubblicato su l’Indipendente.online – di Giorgia Audiello]

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