La “scienza” è oggi considerata l’unica via di salvezza per l’umanità, oltre che un’autorità indiscussa e indiscutibile e, per questo, è diventata paradossalmente la nuova religione di una società materialista senza sacro e senza trascendenza. “Lo dice la scienza” o “credere nella scienza” sono tra le espressioni più ricorrenti e amate dal pensiero dominante, ossia quello veicolato dai principali apparati comunicativi e divulgativi che suggeriscono velatamente – a volte in maniera impercepibile – cosa e come pensare.

Ma che cosa rappresenta, qual è il fine e la vera funzione di quella che viene chiamata scienza nel mondo globalizzato e secolarizzato in pochi se lo domandano, in quanto essa viene sempre più spesso presentata come un dogma e, in quanto tale, recepita acriticamente da una moltitudine che non si pone domande, ma aderisce passivamente a delle narrazioni diffuse attraverso la martellante propaganda di una cultura di massa – coltivata soprattutto nelle sedi accademiche e scolastiche – che si propone proprio di ergere la scienza a criterio ultimo di verità e di interpretazione della totalità del reale.

In questa prospettiva, essa si configura come fiducia illimitata della razionalità umana di pervenire ad una conoscenza completa e certa, ritenendo di poter trovare ogni risposta esclusivamente nel mondo fisico della materia ed escludendo tutto ciò che concerne la metafisica. A causa di tale convinzione, la scienza non si interroga più sulle reali capacità di conoscenza umana (che cosa può davvero conoscere l’uomo e come), né sul fatto che possano esistere verità che non trovano il loro fondamento nella conoscenza sensibile, ma pretende di ridurre anche le più importanti domande esistenziali, come quelle sull’origine della vita e dell’universo, ad un puro calcolo e, dunque, ad una mera funzione matematica.

In questo delirio di onnipotenza, la scienza moderna non ha fatto altro che produrre delle verità particolari, frammentarie e settoriali che nulla hanno apportato all’interiorità e al progresso spirituale dell’uomo, in quanto rimangono su un piano puramente pragmatico e quantitativo. Esse vengono però presentate come conoscenze in grado di risolvere ogni problema dell’umanità, proiettandola verso un progresso inarrestabile e illimitato. Una tale concezione di scienza rappresenta semplicemente l’esaltazione di quella visione razionalista che sfocia nell’antropocentrismo e che ha la sua origine nell’umanesimo prima e nell’illuminismo dopo; e il suo fine ultimo non è la ricerca di una genuina conoscenza che si sottomette ad un principio di verità superiore che la trascende, ma la volontà di manipolare e sottomettere la realtà al proprio esclusivo interesse.

Il filosofo Julius Evola a riguardo scrisse:

“[…]la scienza moderna, più che mirare alla conoscenza nel senso integrale e tradizionale, è informata dall’esigenza pratica, dall’impulso a dominare il mondo e ciò già nei suoi procedimenti. Tutto il sistema della scienza è una rete che si stringe sempre più intorno ad un quid che resta incomprensibile, al solo fine di poterlo assoggettare a scopi pratici. E lo scientismo trova il suo alibi preferito in tutto ciò che nelle sue applicazioni tecniche la scienza ha reso possibile; di fatto, oggi la scienza non interessa tanto come conoscenza, quanto come uno strumento efficace per aumentare il benessere, la ricchezza e la potenza materiale”.[1]

Questa idea di “scienza” ha troncato nettamente con la “tradizione” risalente alla filosofia antica e proseguita poi con la cultura e il pensiero cristiano e vorrebbe porsi come emancipazione dal sacro e dalla metafisica, ossia da quella che alcuni filosofi positivisti hanno definito rispettivamente la fase infantile e adolescenziale dell’umanità.

Per Aristotele (384 – 322 a.C.), la scienza – ossia la vera conoscenza – è innanzitutto conoscenza delle cause e maggiormente delle cause prime: la causa è ciò che fonda e rende possibile un fenomeno e, dunque, è anche condizione di intelligibilità del divenire; le cause prime, invece, non dipendono da alcun’altra causa e per questo delimitano necessariamente tutta la realtà. Se la ricerca di tali cause inizia nel mondo fisico, essa non si esaurisce nella physis (nella natura), poiché la fisica non è la scienza della totalità del reale e, dunque, le cause prime non possono essere ricercate e tantomeno trovate tutte in questo ambito poiché lo oltrepassano. Esse vanno quindi ricercate nella realtà sovrasensibile e sono oggetto di indagine della filosofia prima (in seguito rinominata metafisica). Ecco, dunque, che la fisica – pur costituendo l’ambito di partenza dell’indagine sulle cause – è “seconda” rispetto alla metafisica, tanto che Aristotele la chiama anche “filosofia seconda”.

Se, dunque, non esiste una qualche altra sostanza al di là di quelle che sono costituite per natura, la fisica sarà la scienza prima; ma se esiste una qualche sostanza immobile, questa sarà anteriore e la filosofia prima, e in questo modo sarà universale perché prima. E infatti, il suo compito sarà di speculare intorno all’ente: che cos’è e le proprietà che gli appartengono in quanto tale”.[2]

Per tale ragione, Aristotele, nel libro I della “Metafisica”, definisce la filosofia prima come la forma più alta di conoscenza e la identifica con la sapienza. Poiché quest’ultima è conoscenza causale dell’universale, essa non può essere altro che scienza e ha i tratti di un sapere ritenuto divino, perché studia oggetti divini, tra cui la sostanza divina. Inoltre, in quanto conoscenza puramente teoretica, essa è fine a se sé stessa e perciò libera.

L’attuale visione delle cosiddette scienze esatte della modernità ha reciso bruscamente il suo legame e la sua dipendenza dalla metafisica e quindi dai principi, arrivando a negarli o a dichiararli inconoscibili. Ciò ha condotto a due conseguenze fondamentali: la produzione, come si è già accennato, di una molteplicità di specializzazioni che hanno generato conoscenze parziali e frammentarie e che, nonostante gli sforzi, non trovano alcun vero centro unificatore che le possa connettere e armonizzare e l’impiego della conoscenza a soli fini pratici. Quest’ultimo punto la rende – al contrario della scienza aristotelica che, come si è detto, è “libera” – uno strumento di condizionamento e trasformazione della realtà e quindi uno strumento al servizio della tecnica e di una certa ideologia politico-sociale.

Quanto al primo aspetto – la negazione della dipendenza dai principi primi – René Guénon, nel libro “La crisi del mondo moderno”, scriveva:

Separando radicalmente le scienze da ogni principio superiore col pretesto di assicurar loro l’indipendenza, la concezione moderna le ha private di ogni significato profondo e perfino di ogni interesse vero dal punto di vista della conoscenza: ed esse sono condannate a finire in un vicolo cieco, poiché questa concezione le chiude in un dominio irrimediabilmente limitato. Ogni sviluppo all’interno di questo dominio non è poi per nulla un approfondimento, come alcuni se l’immaginano: esso resta invece affatto superficiale e conduce solo alla già accennata dispersione nel dettaglio, ad una analisi sterile quanto fastidiosa, la quale può svilupparsi indefinitamente senza che così si proceda di un solo passo sulla via della vera conoscenza”.[3]

La soppressione dei principi è una condizione necessaria per esternare e attuare quella volontà di dominio e di potenza che si manifesta nella manipolazione e nella trasformazione della realtà: quest’ultima non sarebbe possibile, infatti, se l’uomo avesse l’umiltà di comprendere e di accettare che esiste una dimensione e una verità superiore che lo trascende e che solo in essa egli può trovare il suo senso e il suo ruolo ed essere felice. Rifiutando questa prospettiva e pensando di poter raggiungere, con la sola razionalità, la vera conoscenza, l’umanità incorre in ciò che i greci definivano “hybris” e in quello che il pensiero medievale cristiano ha definito “amor sui”: l’amore di sé che si traduce in orgoglio e che porta l’uomo a sfidare e a sostituirsi a Dio. Proprio a riguardo, Agostino di Ippona (354 – 430) – padre della Chiesa, filosofo e teologo – insisteva sul fatto che:

anche quando la scienza naturale mette l’uomo in condizione di attingere conoscenze necessarie, tutte le sue certezze scaturiscono sempre da una partecipazione all’Intelligenza divina, che si produce o in forma diretta, nell’interiorità dell’anima, o per via mediata, attraverso la contemplazione della perfezione del creato”.[4]

Ed è proprio qui che si misura la distanza siderale tra la cultura cristiana medievale e quella moderna che sta anche alla base del viscerale disprezzo (ma si potrebbe dire odio) che la seconda nutre per la prima.  

Poiché, come si è detto, la principale ambizione della scienza moderna è la manipolazione della natura da inglobare nel proprio dominio, tale ambizione non potrà fare a meno che estendersi anche all’uomo: anch’egli, infatti, è considerato oggetto e, in quanto tale, plasmabile a proprio piacimento e controllabile. Ed è proprio in questa chiave che va interpretato, ad esempio, un movimento come quello del transumanesimo che sta acquisendo sempre più importanza e che non nasconde, ma anzi manifesta esplicitamente il suo desiderio di modificare l’essenza stessa, biologica e antropologica, dell’uomo al fine di migliorarlo, in quanto l’umanità è vista come un “prodotto” in continua evoluzione, eternamente modificabile e migliorabile, proprio per poterla sottrarre alla sua finitezza, ai suoi limiti e, in ultima analisi, alla sua relazione col creato e col Creatore.

Se, dunque, la modernità pretende di aver liberato l’uomo dai dogmi opprimenti e radicali della religione e della spiritualità, in realtà essa li ha sostituiti con quelli intransigenti e incontrovertibili della scienza: anche quest’ultima, infatti, ha i suoi altari, i suoi sacerdoti, i suoi riti e persino i suoi sacramenti. La differenza sta però nel fatto che gli unici veri dogmi sono quelli dello scientismo che pretende di ergere le proprie conoscenze sensibili a conoscenze assolute in grado non solo di guidare, ma di salvare l’umanità.

In questa visione pseudo escatologica manca, però, una componente fondamentale: l’anima, che è un fattore che la scienza non può e non è in grado di prendere in considerazione, in quanto non afferisce all’ambito quantitativo e del puro calcolo, ma all’ambito qualitativo e dell’eterno. Essa, infatti, è il vero centro della persona e, secondo Aristotele, in quanto forma del corpo, ne costituisce l’essenza specifica.
Per questo, abbracciando la scienza come elemento di salvezza, paradossalmente l’umanità sta firmando la sua condanna, in quanto non è consapevole di essere costantemente sottoposta a un condizionamento culturale e psicologico che  può condurla ad una trasformazione prima antropologica e, successivamente, biologica e finanche genetica.

Scienza e politica

L’idea di applicare i metodi economico-industriali e scientifici alle istituzioni sociali e dunque alla politica risale al movimento filosofico e culturale del positivismo, che rappresenta l’antitesi di quella concezione di scienza legata ai principi, che tale movimento ripudia per considerare esclusivamente ciò che è concreto, reale e sperimentabile. In particolare, colui che ne è considerato il fondatore – Auguste Comte (1798 – 1857) – teorizzava una società governata da una élite di scienziati che, attraverso i metodi scientifici, potesse risolvere qualunque problema dell’umanità e indirizzarla verso il progresso materiale e tecnologico. In questo modo, la realtà sociale e politica viene privata della sua componente qualitativa e discrezionale legata ai valori e alle esigenze intrinseche dell’uomo in quanto tale, per assecondare solo ciò che risponde ai criteri di efficienza, precisione, profitto e crescita industriale.
Quella che era solo la teoria di un movimento culturale ha oggi raggiunto la sua realizzazione concreta con l’esaltazione del governo dei tecnici, descritto come inevitabile e necessario a causa delle continue emergenze di cui l’Occidente è vittima da trent’anni a questa parte e che ora paiono avere investito l’intero pianeta. Per scalzare la politica, dopo aver spazzato via intere classi dirigenti composte da validi statisti sostituendole coi camerieri della finanza, questa viene dipinta come corrotta e incompetente e ad essa si vorrebbe contrapporre la “responsabilità” e la conoscenza dei tecnici, non a caso chiamati anche “competenti”. Per questo, la politica si trova in un rapporto di subordinazione rispetto al potere tecno-scientifico e alcuni partiti si sono piegati alla narrazione dominante della scienza come conoscenza assoluta, usandola per fare presa su un elettorato sedotto dall’ideologia scientista e dagli idoli del profitto, del benessere e del consumo. Un esempio a proposito è lo slogan della campagna elettorale del 2018 del Partito Democratico che recitava: “Vota la scienza. Scegli il PD”.

La commistione tra scienza e politica è oggi pienamente consolidata e manifesta e una si serve dell’altra per realizzare non il bene della collettività – che sarebbe compito supremo della politica – ma per realizzare la “visione” o progetto dell’élite capitalista tecno-finanziaria, i cui esponenti arrivano a possedere patrimoni che superano quelli di intere nazioni. Tale élite ha sfruttato e spinto fino al limite estremo le basi teoriche fornite dal positivismo e si è servita di esse per spoliticizzare i processi decisionali, consegnandoli nelle mani di sedicenti esperti completamente estranei alla vita reale e alle esigenze dei popoli dai quali, del resto, non sono stati designati per ricoprire alcun incarico.

Ecco, dunque, cha la scienza è diventata, a sua volta, uno strumento del capitalismo finanziario mondialista, il quale si serve dello scientismo come nuova religione mondiale per sottomettere i popoli e la cui funzione salvifica e imprescindibile è tenuta costantemente viva dal terrore mediaticamente indotto e da una propaganda serrata e incessante che farebbe impallidire lo stesso Goebbels.

Il vaccino Pfizer-BionTech e il controllo tecnologico-sanitario

A proposito di propaganda, è partita pochi giorni fa l’operazione di persuasione delle masse sulla sicurezza e l’indispensabilità del vaccino anti-covid della multinazionale farmaceutica Pfizer BionTech.
Il furgone con le dosi di vaccino arrivato in Italia il 25 dicembre dopo aver passato il valico del Brennero e scortato dai carabinieri fino a Roma, è il più riuscito esempio di spettacolarizzazione della realtà, volta a consacrare la funzione salvifica del vaccino e dunque della scienza, proprio nel giorno in cui si celebra un altro tipo di salvezza: quella spirituale.

Il vaccino assume quindi la funzione sacramentale di un nuovo “battesimo”: quello dell’umanità che si apre ad una dimensione inedita e che si sottomette ad una nuova logica di dominio che governa ogni ambito della vita e della realtà. Si tratta della dimensione del controllo tecnologico e sanitario totale sulla popolazione. Infatti, attraverso i vaccini – in particolare quelli che sfruttano tecnologie innovative come quella dell’mRNA o delle nanotecnologie molecolari – è possibile alterare, manipolandolo, il sistema immunitario naturale, incidere sulla sterilità dei soggetti e finanche monitorare l’individuo e somministrare farmaci in tempo reale attraverso nanodispositivi e biosensori intelligenti. Queste sperimentazioni tecnologiche e scientifiche sono quasi sempre desunte dall’ambito militare al quale si destinano ingenti finanziamenti finalizzati al controllo, al “potenziamento” e alla “sicurezza” dei militari e vengono solo successivamente estese alla popolazione civile.

Al riguardo, uno studio del 2008 dal titolo “Nanorobot Hardware Architecture for Medical Defense” chiarisce il potenziale utilizzo e la reale portata di queste tecnologie. Fin dall’abstract viene esplicitato l’ambito militare della ricerca e si spiega che:

I recenti sviluppi nel campo della nanoelettronica, con trasduttori che si riducono progressivamente a dimensioni sempre più piccole attraverso nanotecnologie e nanotubi di carbonio, possono tradursi in innovativa strumentazione biomedica, nuove terapie e metodologie diagnostiche più efficienti. L’uso di sistemi integrati, biosensori intelligenti e nanodispositivi programmabili consente la ricerca e lo sviluppo progressivi di “macchine molecolari” in grado di fornire un monitoraggio biomedico pervasivo ad alta precisione con la trasmissione di dati in tempo reale. L’uso di sistemi embedded nano-bioelettronici viene anche dimostrato con un’applicazione pratica di nanorobotica medica e una simulazione 3D basata su dati clinici in grado di integrare la comunicazione con i nanorobot utilizzando RFID, reti di telefonia cellulare e comunicazioni satellitari, applicata alla sorveglianza a lunga distanza e al monitoraggio della salute delle truppe impegnate nelle zone di conflitto. […] Il modello attuale applicato in ambiti militari, può essere utilizzato anche per prevenire e salvare una popolazione contro il diffondersi pandemico di alcune malattie epidemiche.”

Ecco, dunque, che lo stato di sorveglianza assume dei contorni sempre più nitidi e delle potenzialità sempre più concrete e reali: vediamo qui dispiegata in tutta la sua potenza quella volontà e quella capacità – propria della scienza moderna – di manipolazione del reale e dell’uomo che sottende un controllo capillare della popolazione finalizzato al suo contenimento e, in un’ultima analisi, alla sua riduzione[5].

Alla luce di ciò, le promesse della scienza non si delineano solo come mere illusioni di salvezza, ma come vere e proprie trappole, potenzialmente in grado di dare vita ad una realtà orwelliana e di accelerare bruscamente il passaggio dall’umano al transumano, in cui il corpo biologico è considerato un mero dispositivo che può essere collegato alla rete o al pc, attraverso l’introduzione, al suo interno, di macchine molecolari nanotecnologiche[6]. Il corpo, privato dell’anima, diventa così assimilabile ad una macchina, poiché sopprimendo il sacro “fuori di noi”, abbiamo soppresso anche la componente divina dentro di noi, eliminandone così l’essenza.

Libertà e scienza

Solo un ritorno all’autentica natura e alle reali esigenze umane e solo riconoscendo, allo stesso tempo, l’utilità e i limiti della scienza e sconfessando la sua “onnipotenza”, sarà possibile scongiurare il peggio. Diversamente, l’umanità cercherà la “salvezza” proprio laddove si trova l’abisso e nulla potrà arrestarne la corsa verso il baratro.
Ci sono temi che non solo la scienza non può indagare – quali la libertà, l’amore e il male – ma che il suo incontrastato dominio può mettere seriamente in discussione, a cominciare proprio dalla libertà.
Come abbiamo sperimentato in questi ultimi dieci mesi, essa è stata seriamente limitata da un sedicente quanto fantomatico comitato tecnico-scientifico e, al contrario dell’opinione comune diffusa, difficilmente ci verrà restituita così come la conoscevamo, pur dovendo necessariamente considerare che anche quella costituiva in realtà una libertà fittizia.
La libertà vera, invece, è un tratto fondamentale di Dio (e non della scienza). Dunque, poiché Egli ha creato l’uomo a Sua immagine, la libertà umana è un riflesso della libertà di Dio e solo in Lui la si potrà (ri)trovare. Mentre la scienza, se non limitata al suo ambito e alle sue competenze – che pure sono state e sono preziose per la civiltà – non potrà che corrodere parti sempre più consistenti di questa libertà, proprio perché essa, se non controllata, è spinta da un desiderio intrinseco di manipolazione e di dominio.

Infine, illuminanti sono le parole di quello che da molti è considerato l’ultimo Papa della Chiesa Cattolica, Benedetto XVI:

“[…] Vi è un livello più alto che necessariamente trascende le previsioni scientifiche, ossia il mondo umano della libertà e della storia. Mentre il cosmo fisico può avere un proprio sviluppo spaziale-temporale, solo l’umanità, in senso stretto, ha una storia, la storia della sua libertà. La libertà, come la ragione, è una parte preziosa dell’immagine di Dio dentro di noi e non può essere ridotta a un’analisi deterministica. La sua trascendenza rispetto al mondo materiale deve essere riconosciuta e rispettata, poiché è un segno della nostra dignità umana. Negare questa trascendenza in nome di una supposta capacità assoluta del metodo scientifico di prevedere e condizionare il mondo umano comporterebbe la perdita di ciò che è umano nell’uomo e, non riconoscendo la sua unicità e la sua trascendenza, potrebbe aprire pericolosamente la porta al suo sfruttamento”.[7]



[1] J. Evola, I testi del “Roma”, Edizioni di Ar, Padova, 2008.

[2] Aristotele, Metafisica, E 1, 1026 a 27-32.

[3] R. Guénon, “La crisi del mondo moderno”, Edizioni Mediterranee, 1983.

[4] G. d’Onofrio, “Storia del pensiero medievale”, Città Nuova Editrice, Roma, 2011, p. 29.

[5] Le élite non hanno mai nascosto il problema fittizio, diventato luogo comune, della sovrappopolazione mondiale e molte tra le personalità più importanti della congrega mondialista – da Bill Gates a David Rockefeller – hanno pubblicamente denunciato l’”emergenza” del “sovraffollamento” del pianeta. In particolare, D. Rockefeller ha denunciato questa condizione alle Nazioni Unite, alludendo come soluzioni quelle che, secondo le sue stesse parole, si presentano come pratiche dalle ampie ripercussioni morali. Quella che viene chiamata “sostenibilità” (lo sviluppo sostenibile) comprende un insieme di iniziative volte al contenimento e alla riduzione della popolazione, attraverso il controllo delle nascite e programmi di sterilizzazione, cui ora si è aggiunto il potenziale dei vaccini. Il tutto è riconducibile ad una visione di matrice neomalthusiana e alla criminale “scienza” dell’eugenetica.

[6] Si veda a proposito l’esperimento dell’imprenditore e magnate statunitense Elon Musk e della sua compagnia Neuralink: si tratta di un impianto cerebrale per collegare il cervello umano all’intelligenza artificiale. “In poco più di 25 anni potremmo riuscire a creare un’intera interfaccia cerebrale, in modo che tutti i neuroni di una persona siano collegati a un’estensione” ha affermato Musk.

[7]Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze”, 6 novembre 2006.

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