E’ dall’inizio di questo apocalittico periodo di epidemia che sentiamo ripetere da più parti che “non torneremo più come prima”, quasi nell’ottica di una profezia che si autoavvera, di una previsione programmatica o di una volontà di indirizzare e orientare gli stili di vita futuri dell’umanità. Il risultato è un panico diffuso che indirizza i comportamenti delle persone, sempre più convinte della necessità di restare in casa a oltranza, dominate dalla paura e narcotizzate dai persuasivi mezzi di comunicazione.
A giudicare dagli aedi del mainstream e dai cantori della nuova Repubblica tecnocratica che si appresta sempre più velocemente a prendere forma, sembra quasi che il finale sia già scritto: la pandemia come confine tra un prima e un dopo della condizione umana, come demarcazione tra l’umano e il post-umano e come passaggio definitivo all’era del predominio della tecnica.

La principale reazione psicologica scaturita da quello che sembra essere un virus ben più grave della peste, dell’ebola, della SARS e di qualunque altra epidemia della storia umana – nonostante il parere divergente di molti scienziati, che sono stati prontamente silenziati – è una paura che sfocia nella completa paralisi del pensiero critico, enormemente amplificata da un apparato scenografico sapientemente costruito, dove l’ambizione più grande sembra quella di aggiungere terrore al terrore, in un processo manipolatorio e in un circolo vizioso difficile da sradicare.
Considerato che la retorica dell’imprevedibilità dell’evento è certamente falsa, in quanto fin dal 2005 l’Italia ha stilato – su sollecitazione dell’OMS – un documento dal titolo “Piano Nazionale di preparazione e risposta ad una Pandemia influenzale” [1] (che sarebbe dovuto essere costantemente aggiornato) e che l’interesse delle istituzioni pubbliche per la salute dei cittadini si è recentemente rivelata piuttosto scarsa per almeno due ordini di ragioni – la prima riguarda la superficiale considerazione del pericolo che deriva dalla tecnologia 5G, la seconda i tagli lineari effettuati alla sanità – risulta evidente come l’allarmismo (tardivo) scatenato in questi ultimi mesi e la conseguente isteria collettiva siano funzionali agli interessi di una ristretta cerchia di potere, che ama definirsi filantropica e che ha una precisa visione per il futuro dell’umanità e i mezzi per imporla. Questa cupola di potere, tramite l’espediente della pandemia e della paura da essa generata, avrà l’occasione di applicare e sperimentare su scala planetaria un nuovo apparato tecnologico (droni, scanner e applicazioni) in grado di modificare le abitudini di vita dei cittadini e di monitorarli costantemente. Senza un evento che generasse la paura o l’incertezza negli individui, ciò non sarebbe mai potuto accadere.
Non è possibile non notare come questa situazione, casualmente o meno, si configuri come l’elemento in grado di sdoganare i temi cardine dell’agenda degli oligarchi: vaccinazioni obbligatorie, eliminazione del denaro contante (perché veicolo di germi), sorveglianza e monitoraggio costante dei cittadini, identità digitale e distanziamento sociale.
In sintesi, l’epidemia è diventata l’arma per plasmare una “nuova umanità” che si avvia sempre di più verso ciò che si può definire post-umanesimo. Dati i recenti accadimenti, la componente tecnologica emergerà come il principale mezzo attraverso cui mettere in contatto le persone, private della loro socialità e quindi di ciò che, insieme alla razionalità, contraddistingue maggiormente la natura umana. Ma anche la razionalità è stata enormemente ridimensionata in tutta questa vicenda, se si considera che essa è stata sopraffatta dall’aspetto emotivo-irrazionale, suscitato dai media attraverso immagini fortemente impattanti. E questo, del resto, fa parte di quelle tecniche di manipolazione sociale ben illustrate dal politologo e linguista Noam Chomsky, insieme a quella del senso di colpa (siamo tutti colpevoli perché irresponsabili) e del trattare gli ascoltatori alla stregua di bambini. L’obiettivo è abituare l’umanità a un nuovo modello di vita, in cui abbracciarsi, andare al cinema o al ristorante saranno lontani ricordi. E anche qui la strategia della gradualità (molto simile alla nota finestra di Overton) e del differire, rimandando continuamente le date di fine quarantena e, di contro, anticipando che si andrà al mare con le mascherine e che la didattica anche da settembre avverrà a distanza, servono ad abituare lentamente e in modo impercettibile la collettività a una nuova dimensione artificiale e indotta, dove il fine ultimo è un completo distanziamento e controllo sociale. Individui dispersi e isolati sono infatti molto più facilmente controllabili e la possibilità di esprimere il dissenso tramite le manifestazioni viene del tutto scongiurata.
Una nuova epoca insomma, in cui la decostruzione dell’umano pare essere un’ambizione celata ma pervicacemente perseguita. Se, infatti, all’umanità si toglie la spiritualità (la sospensione delle celebrazioni liturgiche è in tal senso significativo), la socialità e la razionalità, viene meno la sua stessa essenza e ne resta una copia sbiadita sulla quale costruire una post-umanità soggiogata dalla tecnica. Del resto, andiamo incontro a tecnologie sempre più sofisticate­ in grado di fondersi con l’uomo, come ad esempio le nanotecnologie, e le possibilità prospettate dalla 5G proiettano la società verso orizzonti futuristici solo lontanamente anticipati da film come Metropolis o Blade Runner. Da tempo si sente parlare della possibilità del famigerato uso del microchip (già utilizzato in Stati come la Svezia), di intelligenza artificiale e di transumanesimo, ma non è stato mai avviato né proposto a livello politico e sociale un dibattito serio e un’analisi critica a tale riguardo. Altresì, il distanziamento sociale imposto spianerà la strada alle nuove economie digitali, all’e-commerce, allo smart working e tutto verrà riassettato in funzione di questi nuovi modelli di condivisione e di lavoro con risvolti antropologici inevitabili: una società atomizzata sempre meno fisica e sempre più virtuale, fragile e manipolabile.

La tecnologia, lungi dall’essere un mero strumento per migliorare le condizioni di vita, sottende in realtà quella che è una vera e propria ideologia: il dominio dell’uomo sulla natura e il continuo superamento dei limiti imposti da quest’ultima, attraverso la sua stessa strumentalizzazione.
Tutta la modernità è caratterizzata dalla volontà di oltrepassare dei limiti ritenuti atavici, vincolanti e repressivi, in un atto di “liberazione” dell’umano da tutto ciò che lo definisce intrinsecamente, compresi la sua finitezza e le sue imperfezioni. Da ciò nasce la volontà di debellare la vecchiaia, le malattie (anche quelle più banali), di potenziare – estremizzandole – le facoltà fisiche e cognitive e finanche di giungere, nel caso ad esempio del transumanesimo, a rendere l’uomo immortale. È una continua sfida che punta a fare dell’uomo il dio di se stesso e dove l’evoluzione materiale e biologica ha soppresso completamente quella spirituale.
In un tessuto culturale e antropologico che ha appiattito l’indagine del reale solamente su un piano fisico e quantitativo, relegando la metafisica nell’ombra e nell’ambito dell’irrazionale, la tecnica è l’unico strumento ritenuto idoneo per rispondere alle esigenze di un’umanità materialista e interdipendente, oltre che l’unico mezzo in grado di soddisfare uno schema di pensiero in cui tutto deve essere ridotto a mezzo in vista di un fine. Un fine che si è identificato a lungo con gli interessi produttivi e speculativi capitalistici e che ora ha spostato il suo baricentro verso un più stringente controllo sociale, nel momento in cui le narrazioni fin qui dominanti della società aperta e del globalismo hanno cominciato a cedere, palesando le loro distorsioni.
 L’unico miglioramento prospettato ingannevolmente all’uomo della post-modernità è quello bio-tecnologico, mentre è ritenuta inutile ed anacronistica tutta la sfera etica, estetica, culturale e identitaria.
Dalla volontà di dominare e manipolare la natura, facendo di essa un mero strumento, scaturisce una “tecnicizzazione” della realtà, di cui l’uomo stesso – in quanto anch’egli natura – si appresta a diventare “vittima”, all’interno di quella che sta diventando la dittatura della tecnica.

Del resto, la tecnologia è il mezzo di cui alcune potenti organizzazioni filantropiche – come la Fondazione Rockefeller – si servono per plasmare e indirizzare lo sviluppo del mondo e delle società. A questo proposito è massimamente indicativo uno studio risalente al 2010, proprio della succitata fondazione, dal titolo: “Scenari per il futuro della tecnologia e dello sviluppo internazionale[2]: qui la tecnologia viene presentata come un elemento fondamentale “per il suo potenziale ruolo trasformativo – sia in senso positivo che negativo – nell’indirizzare una vasta gamma di sfide di sviluppo”.

I contesti in cui la tecnologia può essere resa operativa per trasformare e indirizzare gli stili di vita, vengono chiamati “scenari”. Vengono quindi individuati quattro differenti scenari, ognuno dei quali conduce a diversi panorami tecnologici, determinanti per i loro potenziali impatti sullo sviluppo del mondo. È interessante sottolineare come il primo di questi scenari – denominato “lock step” (misura di blocco) – corrisponda esattamente alla situazione di pandemia globale che stiamo attualmente vivendo, in cui sono già descritte ed esaminate nel dettaglio tutte le misure recentemente attuate e le loro conseguenze, ossia una rigida restrizione delle libertà personali destinata a proseguire anche dopo la pandemia.
Fondamentalmente, lo “scenario” è il contesto attraverso cui i nuovi modelli tecnologici possono essere “installati” e utilizzati per modellare una dimensione che trova nella trasformazione antropologica i suoi principali obiettivi.
Così, infatti, si legge nel report:

Gli scenari sono un mezzo attraverso cui i grandi cambiamenti possono non solo essere concepiti, ma anche realizzati”.

E sulla tecnologia, viene esplicitato che:

l’obiettivo è ottenere una comprensione più ampia e più ricca dei differenti percorsi lungo i quali la tecnologia si può sviluppare. […] La tecnologia, come categoria, non può essere separata dal contesto in cui si sviluppa. Gli scenari riportati in questo report esplorano quattro contesti, ciascuno dei quali, come si vedrà, suggerisce panorami molto diversi per la tecnologia e il suo potenziale impatto sullo sviluppo del mondo”.

Se da una parte la tecnologia è diventata uno dei totem della contemporaneità, dall’altra osserviamo un brusco arresto di tutte le attività artistiche, culturali e spirituali per le quali, come ci fanno sapere gli adulatori del “nuovo mondo”, ci vorrà tempo prima che possano ripartire. Cinema, musei, teatri e chiese restano chiusi fino a data da definirsi e osserviamo così uno sbilanciamento sempre più marcato verso una dimensione meccanica e materialista e sempre meno spirituale e creativa. È questo il tipo di mondo che sta prendendo forma sotto i nostri occhi: un’umanità disgregata, dominata da potenti oligarchie “filantropiche”, avverse al sacro e alle radici greco-romane e cristiane proprie soprattutto di certi Paesi europei, che stabiliscono come e quando ci si potrà di nuovo riunire e quando la quarantena potrà terminare.
La “filantropia” è diventata la nuova categoria della società tecnicizzata e secolarizzata, dietro alla quale si nasconde la volontà di indirizzare le sorti dell’umanità, secondo una concezione di “bene” sovversiva e sicuramente teorizzata a porte chiuse, senza alcun coinvolgimento dei popoli, dei quali queste plutocrazie conoscono bene la psicologia. Essi infatti paiono, almeno fino a un certo punto, propensi ad accettare che qualcuno compia per loro delle scelte, sottraendosi alla responsabilizzazione ed eventualmente allo scontro che scaturirebbe se si opponessero.
Alla luce di ciò, risulta più chiaro il motivo per cui sentiamo ripetere che “non torneremo più come prima”: lo “scenario” che stiamo vivendo e la tecnologia ad esso collegata sono strumenti di trasformazione sociale e spetta ai popoli, purtroppo spesso caratterizzati da scarso o nullo spirito critico, decidere se accettarli o meno.
È inutile ricercare la “verità” fuori da se stessi o in quella medesima realtà che il problema lo ha creato. Nulla potrà essere compreso se prima non si arriva a cogliere la battaglia spirituale che è in corso tra la libertà, che non si dà senza verità, e la sottomissione nell’inganno, tra i valori e la dissoluzione, tra il logos e il caos.
Una battaglia epocale che non può non tenere conto delle categorie fittizie che plasmano il pensiero contemporaneo: quelle della “tecnologia”, del “progresso” e della “filantropia”, che sono le principali armi di un’ideologia nichilista che sembra ormai dominare in modo incontrastato il corso della storia.


[1] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_501_allegato.pdf

[2] http://www.nommeraadio.ee/meedia/pdf/RRS/Rockefeller%20Foundation.pdf

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