Lo scorso primo luglio, il Gruppo Tim ha ceduto al fondo statunitense KKR la sua rete primaria e secondaria delle telecomunicazioni per un valore stimato in circa 22 miliardi di euro, conferendo così di fatto il controllo di dati sensibili degli utenti ad una compagnia straniera. L’infrastruttura è considerata strategica per la sicurezza nazionale, motivo per cui il governo italiano ha il potere di applicare il cosiddetto “golden power”, lo strumento normativo che conferisce all’esecutivo la facoltà di porre condizioni o veti in caso di tentativo d’acquisto di una compagnia strategica italiana da parte di una società straniera. Nonostante i partiti di maggioranza abbiano sempre sostenuto la necessità di assumere il controllo della rete di comunicazioni, il governo Meloni ha alla fine ceduto alle pressioni della finanza internazionale autorizzando l’operazione di vendita e ritenendola idonea a garantire la tutela degli interessi strategici connessi agli asset oggetto dell’operazione, in continuità con la posizione del governo Draghi. Dopo circa due anni e mezzo di trattative, dunque, ben 23 milioni di chilometri di cavi in rame e fibra ottica diventeranno di proprietà statunitense, mentre il ministero dell’Economia e delle Finanze italiano avrà una quota di minoranza del 16% e il Fondo F2i – il primo investitore privato specializzato in infrastrutture in Italia – dell’11,2%. «Il perfezionamento dell’operazione con KKR e MEF è frutto di due anni e mezzo di lavoro, che sono serviti a riallineare la gestione ordinaria di TIM e a individuare quelle soluzioni, industriali e finanziarie, che ci permetteranno di affrontare le prossime sfide che abbiamo davanti», ha dichiarato Pietro Labriola, Amministratore Delegato di TIM.
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